La validità scriminante della delega di funzioni rispetto alle sanzioni, siano esse penali o amministrative, è principio sufficientemente acquisito dalla giurisprudenza nazionale, pur in assenza di un dato legislativo chiaro, come nel caso della disciplina sugli infortuni sul lavoro.
Con una recente sentenza del Tribunale di Sassari (sentenza del 22 dicembre 2017) si è riconosciuta la legittimità dell’istituto della delega di funzioni anche nel caso di sanzioni amministrative: più precisamente, nel ricorso avverso a una contestazione a carico del legale rappresentante di una società (operante nella GDO) sanzionata ai sensi del d.lgs. n. 193/2007, il giudice ha riconosciuto la validità del sistema di procure e deleghe di funzioni relative alla conformità alla legislazione alimentare e igienico-sanitaria predisposte dalla società.
Il caso era originato da una presunta violazione delle norme giuridiche sull’igiene degli alimenti (reg. CE 178/2002, reg. CE 852/2004) rilevata dal controllo ufficiale rispetto all’esposizione “promiscua” (sulla medesima corsia di scaffali) di prodotti. Prescindendo in questa sede dalla questione in merito alla infondatezza di tale contestazione, risulta significativo che ancor oggi le violazioni rilevate a carico di enti presenti su tutto il territorio nazionale siano rivolte aprioristicamente al legale rappresentante, senza alcuna indagine relativa a quale persona fisica abbia “il controllo” di quella data impresa alimentare (definizione di OSA ex reg. 178/02).
L’accoglimento del ricorso presentato dalla società di distribuzione conferma che, non solo rispetto a contestazioni penalmente rilevanti[1], ma anche nel campo delle sanzioni amministrative l’istituto della delega di funzioni ha una sua precisa rilevanza.
D’altronde, la responsabilità degli enti per mancata conformità ai precetti di legge è anche alla base del decreto legislativo n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa dipendenti da reato, che come noto è stata negli ultimi anni estesa anche ai fatti di frode in commercio (art. 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater c.p.).[2]
Da ultimo, il progetto di riforma dei reati alimentari (c.d. riforma Caselli, vedi un approfondimento) ha manifestato un chiaro interesse del legislatore a prediligere questo istituto, formalizzando i requisiti di validità di una delega di funzioni. Infatti secondo lo schema di decreto legislativo[3]:
[l]a delega di funzioni da parte del titolare di impresa alimentare, come individuata ai sensi dell’articolo 3 del Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 o, comunque, da parte del soggetto che ne esercita i poteri gestionali, decisionali e di spesa, è ammessa alle seguenti condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
[1] Per alcuni contributi su questo aspetto vedasi su questo sito: La Delega di funzioni nell’impresa Alimentare: sempre necessaria la forma scritta?, Delega di funzioni: se la Cassazione ci ripensa, Delega di funzioni nell’impresa alimentare.
[2] Vedi art. 25 bis-1, D.lgs. nn. 231/2002 introdotto dalla Legge 23 luglio 2009, n.99, art.15.
[3] Art. 40 dello schema di decreto legislativo (Introduzione dell’art. 1 bis della legge 30 aprile 1962, n. 283).