di Daniele Pisanello
Con sentenza del 10 aprile 2014, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Quarta), ha deciso di un ricorso avverso una misura correttiva disposta ai sensi del regolamento (CE) n. 882/2004.
Il contenzioso aveva ad oggetto una serie di provvedimenti di chiusura dell’attività ex art. 8 D.Lgs. 507/1999 che, a dire del ricorrente, erano da considerarsi in violazione anche dell’art.54 Regolamento CE 882/2004 – 852/2004 e 853/2004. Lo stabilimento era infatti pacificamente privo dei prescritti requisiti igienico-sanitari.
Il TAR Sicilia pone a fondamento della decisione di accoglimento del ricorso (quindi annullamento del provvedimento di chiusura basato sull’assenza dei requisiti igienico sanitari applicabili) una particolare ricostruzione della disciplina igienico-sanitaria degli alimenti osservando che la “misura”, adottata ai sensi dell’art. 54 del Reg. (CE) n. 882/2004, è caratterizzata dal principio di proporzionalità. Infatti, tale disposizione prevede che, qualora l’autorità competente individui una non conformità, interviene per assicurare che l’operatore rimuova la situazione: “l’azione da intraprendere si deve estrinsecare in una serie di misure che sono contrassegnate da un criterio di gradualità: dalla formulazione di prescrizioni, alla restrizione o divieto di immissioni sul mercato di taluni alimenti, alla sospensione e ritiro del riconoscimento”.
In questa linea ricostruttiva, il Tribunale afferma che “normativa che disciplina la materia della sicurezza alimentare è all’evidenza ispirata al principio di proporzionalità di matrice comunitaria che assume nel procedimento amministrativo un ruolo fondamentale e innovativo poiché offre una maggiore tutelabilità degli interessi del privato. In forza di tale principio il mezzo utilizzato dall’amministrazione pubblica deve al contempo essere idoneo ed efficace allo scopo perseguito“.
Il ruolo assegnato a questo principio nella sentenza qui in commento viene ulteriormente avvalorato dalla considerazione secondo cui questo principio era già presente nel nostro ordinamento come una delle manifestazioni del principio di ragionevolezza nel quale confluiscono i principi di uguaglianza, di imparzialità e buon andamento. In tale prospettiva il principio di proporzionalità, richiamando una valutazione che incide sulla misura dell’esercizio del potere, impone alla p.a. di valutare attentamente le esigenze dei soggetti titolari di interessi coinvolti nell’azione amministrativa, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio per gli interessi stessi.
A conclusione di tale ragionamento, consegue che, nella fattispecie in esame, a giudizio della TAR, sebbene lo stabilimento della ricorrente “presentasse le carenze igienico sanitarie e di titoli amministrativi debitamente accertate dal NAS e dall’Asp – come in atti – prima di adottarsi un provvedimento di chiusura immediata o sospensione dell’attività, avrebbe dovuto concedersi all’interessata, quanto meno un congruo termine per adeguarsi a prescrizioni all’uopo imposte, tenuto conto, peraltro, del particolare tipo di attività svolta dalla stessa”.
Certamente la sentenza coglie il senso profondo dell’articolo 54 del Reg. (CE) n. 882/2004 laddove ne sottolinea il carattere della gradualità quale manifestazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza che può anche declinarsi sul versante della concreta aderenza del provvedimento amministrativo rispetto al “rischio” insito nella non conformità rilevata. Tuttavia non può osservarsi che la conclusione tranchante cui sembra pervenire, imponendo anche nei casi di carenze igienico-sanitarie gravi, la impossibilità tecnico-giuridica di imporre ex abrupto la chiusura o sospensione dell’attività (comunque contra legem) prescindendosi da una valutazione del rischio alimentare connesso alla fattispecie concreta, si presenta come un elemento distonico rispetto ai compiti di tutela della salute pubblica cui il controllo ufficiale degli alimenti è istituzionalmente preordinato.
Poco convincente si presenta, invece, il richiamo all’art. 6, comma 7° del decreto legislativo n. 193/2007 ove è previsto che “nel caso in cui l’autorità competente riscontri inadeguatezze nei requisiti o nelle procedure di cui ai commi 4, 5 e 6 fissa un congruo termine di tempo entro il quale tali inadeguatezze devono essere eliminate”. Tale disposizione non si riferisce ai requisiti abilitativi all’esercizio di attività alimentari fosse solo perchè per l’esercizio di attività sine titulo è prevista autonoma disposizione sanzionatoria di cui al comma 2° e 3° dello stesso articolo di legge, che qui si riporta. Dalla lettura della sentenza non risulta infatti che siano state portate, soprattutto dall’ASL contestata, rilievi sulla sussistenza di rischio tale da giustificare la misura estrema della chiusura.
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