* Articolo redatto da avv. Daniele Pisanello e dott. agr. Donato Ferrucci.
È in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il Decreto MiPAAF recante disposizioni per l’attuazione del regolamento (UE) 2018/848, il quale fornisce nuove disposizioni nazionali in materia ed abroga i decreti ministeriali 18 luglio 2018 n. 6793, 30 luglio 2010 n. 11954 e 8 maggio 2018, n. 34011. Il testo del decreto è già disponibile sul sito del ministero. Il decreto entrerà in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione in Gazzetta (art. 14, ult. comma).
Preliminarmente a questa prima lettura del testo normativo, occorre ricordare che l’adeguamento della disciplina nazionale al regolamento quadro in materia di agricoltura biologica (RAB), regolamento UE applicabile dal 1° gennaio 2022, è oggetto del disegno di legge-delega (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2021), già approvato in Senato e attualmente in discussione in Commissione alla Camera (S. 2481), cui seguirà uno o più decreti legislativi, destinati a innovare anche il decreto legislativo n. 20/2018.
L’oggetto del decreto qui in commento si compone di 14 articoli e sei allegati coi quali si intende garantire l’applicazione omogenea sul territorio nazionale delle disposizioni unionali di cui al regolamento (UE) 2018/848 e relativi regolamenti delegati e esecutivi in materia di produzione biologica. A tal fine si procede anche ad abrogare provvedimenti ministeriali adottati sulla base della normativa unionale relativa al settore dell’agricoltura biologica non più in vigore e precisamente:
- DM 18 luglio 2018 n. 6793 (disposizioni nazionali di attuazione in materia di agricoltura biologica),
- DM 30 luglio 2010 n. 11954 (modalità di applicazione relativa alla produzione di animali e di alghe marine dell’acquacoltura biologica) e
- DM 8 maggio 2018 n. 34011 (Disciplina dei prodotti vitivinicoli biologici)
Le nuove norme nazionali in materia di etichettatura
Sul fronte delle disposizioni settoriali in materia di etichettatura dei prodotti biologici si segnalano alcune innovazioni poste nell’ottica di una semplificazione degli oneri degli operatori. In particolare, l’art. 11, al comma 1 non ripropone l’obbligo di riportare il codice dell’organismo di controllo autorizzato secondo la stringa fissata a livello (solo) nazionale che era, invece, previsto dal precedente DM 6793/2018.
Soprattutto, il nuovo decreto non dispone neanche l’obbligo di indicare in etichetta il codice operatore, cioè il codice che l’organismo di controllo delegato è tenuto ad assegnare a ciascun operatore immesso nel sistema di controllo, anch’esso previsto dalla normativa precedente.
Nonostante la dichiarata intenzione di semplificare gli oneri a carico degli operatori, le due norme hanno ingenerato qualche incertezza applicativa: se, da un lato, non vi è più l’obbligo di riportare le due informazioni predette (stringa del codice dell’organismo di controllo e codice dell’operatore) ci si chiede se sia comunque consentita la sua indicazione sulle etichette dei prodotti biologici. Il dubbio è avvalorato dalla circostanza che il testo del nuovo decreto, una volta in vigore, consente un ampio smaltimento scorte dell’etichette conformi al precedente regime (con indicazione del codice operatore), il che farebbe pensare che le “vecchie etichette”, contenenti tali informazioni, non sarebbero più corrette sul piano normativo.
Le disposizioni sullo smaltimento scorte sono due:
- Art. 14, comma 5: «Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 60 del Regolamento, i prodotti biologici etichettati in conformità al decreto ministeriale 18 luglio 2018 n. 6793 possono essere immessi sul mercato fino all’esaurimento delle scorte».
- Art. 14, comma 6: «Le etichette già stampate in conformità al decreto ministeriale 18 luglio 2018 n. 6793 possono essere utilizzate fino all’esaurimento delle scorte».
Quindi, le etichette stampate conformemente alla previgente disciplina prima della data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale, nonché i prodotti etichettati, prima della data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale possono essere commercializzati sino ad esaurimento delle scorte.
Ciò premesso, il tema dell’indicazione volontaria del codice operatore deve essere correttamente impostato sul piano legale. A tal riguardo, se anche vi fossero operatori intenzionati a riportare, anche per le “nuove etichette” tale codice, a chi scrive, l’inquadramento di tale fattispecie quale informazione volontaria appare solo in parte condivisibile.
A mente del regolamento generale in materia di informazioni sui prodotti alimentari (Reg. UE n. 1169/2011), infatti, le informazioni volontarie sono quelle nella piena disponibilità dell’operatore che se ne assume la piena responsabilità (OSARI, art. 8.1, reg. 1169/11). In tale prospettiva, non sembra che il codice operatore appartenga a tale categoria. Infatti, almeno a parere di chi scrive, il codice operatore è un dato di controllo ufficiale, elaborato dall’organismo di certificazione delegato, e dunque, di sua pertinenza. Ne consegue che, mancando nel nuovo decreto, un obbligo di indicazione di detto codice, compete all’organismo valutare se e a quali condizioni e con quali garanzie, concederne l’uso agli operatori controllati, garantendo ovviamente una parità di trattamento che è imposta dalle norme di accreditamento oltre che dai principi generali.
Invero, c’è da dubitare che tale indicazione sia “necessaria” a fini di tracciabilità: tale argomento è spesso declamato per giustificare, sul piano della normativa nazionale, obblighi sconosciuti al diritto dell’UE. Sintomatico è il caso del decreto legislativo n. 145/2017 che ha riproposto (in modo peraltro eccedentario) quanto previsto a suo tempo, dal decreto legislativo n. 109/1992 in tema di indicazione della «sede di produzione o, se diverso, di confezionamento».
Ad avviso personale di chi scrive, utilizzare questo argomento in un settore produttivo con un alto livello di controllo, sia interno che esterno, significa implicitamente ammettere la insufficienza dei meccanismi di tracciamento e ritiro approntati dalla normativa settoriale (Reg. 2018/848) e generale (Art. 18, Reg. 178/2002). La tracciabilità non si garantisce tanto con l’etichetta ma, semmai, con il numero di lotto unitamente a sistemi di gestione performanti, oggetto di addestramento e miglioramento continuo.
Se ne conclude quanto al codice operatore che gli organismi di controllo sono nelle condizioni di avvallare l’impiego del codice operatore e tal fine sarebbe opportuno che adeguassero le procedure interne applicabili.
Diversa conclusione sembra prospettabile per il codice dell’organismo di controllo: in tal caso, l’informazione coinvolge il Ministero competente il che fa presumere che, con la novella del primo comma dell’articolo 11 del nuovo decreto, tale indicazione non possa essere più utilizzata.
Sempre in chiave di semplificazione il decreto afferma che qualora il logo biologico dell’UE sia riportato in più parti di una confezione, si è tenuti ad indicare le diciture previste dalla regolamentazione UE in relazione ad uno solo dei loghi riportati sulla confezione.
Ulteriori adempimenti degli operatori a fini di controllo
L’articolo 12 contiene ben 12 commi che riguardano obblighi di vario contenuto inerenti il sistema di controllo e certificazione. Alcune disposizioni sono una mera ripetizione di quanto previsto dal vigente regolamento n. 2018/848; altre sono declinate su un settore merceologico specifico (il riso, vedi commi 10,11 2 12 del citato articolo), altre rappresentano scelte poste a livello di autorità competente centrale.
A questa ultima categoria appartiene il primo comma dell’articolo 12 il quale, prescrivendo che l’operatore o gruppo di operatori che ha notificato attività con metodo biologico è tenuto ad assoggettarsi ad un unico Organismo di controllo, indipendentemente dall’ubicazione sul territorio delle unità di produzione, dal numero e dal tipo di attività da sottoporre al sistema di controllo, appare più restrittivo di quanto previsto dalla regolamentazione unionale: infatti l’art. 35 del Reg. 2018/848 prevede sì che un operatore o un gruppo di operatori non possa ottenere un certificato da più di un organismo di controllo ma circoscrive tale limitazione alle «attività svolte nello stesso Stato membro riguardo alla stessa categoria di prodotti, anche nei casi in cui tale operatore o gruppo di operatori operi in diverse fasi della produzione, della preparazione e della distribuzione».
Per il resto l’articolo 12 riproduce il contenuto di disposizioni unionali in tema di gestione del sospetto di non conformità, di misure preventive e precauzionali, denominate dal decreto “Misure pratiche”, chiarendo la terminologia impiegata nel RAB e specificando che si tratta di misure precauzionali.
Si precisa altresì l’applicabilità dell’obbligo di notifica e quindi adesione al sistema di controllo anche per le operazioni di gestione di centri di raccolta di prodotto biologico e di distribuzione di prodotti biologici a marchio (art. 12, co. 6) e che, soltanto i magazzini «di servizio esclusivo per quello specifico punto vendita», sono esentati dal tale requisito.
Un qualche interesse solleva il comma 8 ai sensi del quale il ricorso a lavorazioni conto-terzi è ora oggetto di un meccanismo di notifica più raffinato, già prassi operativa a livello nazionale, secondo il quale l’operatore o gruppo di operatori che intende affidare lo svolgimento di un’attività a terzi indica tale attività nel modello di notifica di produzione con metodo biologico, a meno che l’esecutore non sia un soggetto a sua volta inserito nell’elenco nazionale degli operatori biologici. In tal caso il mandatario conserva il certificato del soggetto esecutore, assimilato quindi ad un qualsiasi fornitore di materiali conformi. Inoltre, nel caso in cui l’esecutore non sia un operatore notificato, l’impegno da parte dell’esecutore di rispettare le norme relative all’agricoltura biologica e assoggettare le attività al sistema di controllo di cui al Capo VI del Regolamento, è contenuto, in forma scritta, nel contratto tra operatore ed esecutore. Passaggio ora chiarito e non previsto nella previgente norma.
Sulla conversione in biologico
In tema di conversione, cioè del periodo necessario in cui eseguire «la transizione dalla produzione non biologica a quella biologica entro un determinato periodo, durante il quale si applicano le disposizioni relative alla produzione biologica di cui al presente regolamento» la nuova disciplina nazionale (art. 3) chiarisce, con opportuna puntualità, che l’inizio del periodo di conversione coincide con la data di conclusione della procedura di compilazione della notifica ai sensi dell’articolo 34 del Regolamento e della pertinente normativa nazionale. Il riferimento espresso alla compilazione della notifica, cioè dell’atto di impulso del procedimento amministrativo con il quale un operatore (o un gruppo di operatori) aderisce al sistema di controllo del biologico, è un elemento di chiarezza e certezza, atteso che, come noto, all’istanza di avvio segue una istruttoria che può, laddove manchino i requisiti di ammissibilità, portare alla invalidazione della notifica richiesta.
Il citato articolo 3 poi ribadisce che l’autorità competente alla concessione di eventuali deroghe al periodo di conversione canonico (fissato all’allegato II, punto 1.7.1 del Regolamento) sia la Regione.
Le norme nazionali di produzione
Agli articoli 4-10 sono contenute diverse disposizioni tecniche in tema di produzione vegetale (Articolo 4), produzione animale (Articolo 5), produzione di alghe e animali da acquacoltura, (Articolo 6) produzione di alimenti trasformati (Articolo 7), produzione del vino (Articolo 8), unitamente alla disciplina delle deroghe (Articolo 9) e delle norme eccezionali di produzione (Articolo 10).
Partendo dagli aspetti relativi ai prodotti trasformati, l’Articolo 7, al comma 1, contiene una conferma della definizione di per “prodotto ottenuto principalmente da ingredienti di origine agricola” già prevista dal precedente DM 6793/2018: la disposizione nazionale in realtà è una mera replica di quanto oggi stabilito dal RAB all’Allegato II, Parte IV, punto 2.1 del Regolamento per “prodotto ottenuto principalmente da ingredienti di origine agricola”, si intende un prodotto in cui gli ingredienti di origine agricola rappresentano più del 50% in peso della totalità degli ingredienti.
Innovativa e non poco è la disciplina (art. 7, c.2) in merito all’impiego di alcuni additivi, nitrito di sodio (E250) e nitrato di potassio (E252) per la trasformazione dei prodotti a base di carne. Sul punto infatti si segnala una significativa semplificazione, discendente dal nuovo quadro UE: dalla entrata in vigore del decreto infatti sarà sufficiente dimostrare «in modo adeguato, che non esiste alcun metodo tecnologico alternativo in grado di offrire le stesse garanzie e/o di preservare le peculiari caratteristiche del prodotto. Infatti, mentre nella precedente disciplina nazionale». Ciò sembra potersi intendere che in sede di controllo di conformità l’ente deputato possa prendere atto e valutare quanto previsto, se previsto, specificatamente nel manuale di autocontrollo igienico in merito all’uso tecnologico necessitato; in alternativa potrebbe anche ricorrersi a una relazione di un tecnologo alimentare, ad esempio, che fornisca idonea motivazione in ordine al requisito.
Il cambio di passo è significativo se comparato con la normativa precedente: quest’ultima infatti prevedeva una autorizzazione centralizzata (in capo al Ministero delle politiche agricole) all’uso del nitrito di sodio e del nitrato di potassio per la produzione di prosciutti con osso e culatelli, mentre per tutti gli altri prodotti a base di carne era applicabile il regime di esenzione temporaneo.
La nuova disciplina delle produzioni carnee in biologico, dunque, quanto all’uso del nitrito di sodio e del nitrato di potassio, autorizzandone l’uso, in linea con quanto previsto dal vigente regolamento (UE) 2021/1165, decentralizza la fase di controllo assegnando maggior responsabilità all’OSA-bio e al rispettivo organismo di controllo.
Relativamente alla produzione del vino (articolo 8), si segnala che quanto all’uso di sostanze regolamentate, quali additivi e altri ausiliari di produzione, il Decreto nazionale introduce una procedura descritta nell’allegato 5 del medesimo decreto.
Secondo questo allegato, l’operatore, per ciascuna campagna, invia una richiesta per la fornitura dei prodotti e delle sostanze autorizzati per la produzione e la conservazione dei prodotti vitivinicoli per i quali, nell’Allegato V, Sezione A2, Parte D del regolamento (UE) 2021/1165, è previsto nella colonna ‘Condizioni e limiti specifici’ che siano ottenuti da materie prime biologiche, se disponibili, ad almeno due operatori biologici.
Qualora le richieste abbiano esito negativo l’operatore è autorizzato a utilizzare, esclusivamente per quella campagna vitivinicola, le corrispondenti sostanze di origine non biologica.
L’operatore inoltra le richieste a mezzo fax, posta elettronica o posta elettronica certificata e conserva, insieme alle relative risposte, l’intera documentazione rendendola disponibile all’Autorità Competente e agli Organismi di controllo.
Qualora, per una determinata campagna, l’Autorità Competente accerti la non disponibilità dei prodotti e delle sostanze autorizzati per la produzione e la conservazione dei prodotti vitivinicoli per i quali, nell’Allegato V, Sezione A2, Parte D del regolamento (UE) 2021/1165, è previsto nella colonna ‘Condizioni e limiti specifici’ che siano ottenuti da materie prime biologiche, se disponibili, provvede a diffondere l’informazione con un comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e sui siti internet del Ministero (www.politicheagricole.it) e del SINAB (www.sinab.it).
Produzione vegetale e animale
L’articolo 4 contiene qualche novità: in primo luogo il primo comma, in tema di fertilità del suolo ha aggiunto al «mantenimento» il potenziamento del suolo e la tutela della salute delle piante, finalità che debbono essere ottenute «attraverso il succedersi nel tempo della coltivazione di specie vegetali differenti sullo stesso appezzamento, mediante il ricorso alla rotazione pluriennale delle colture.
Il comma 2 si concentra sulle colture seminative, orticole non specializzate e specializzate in pieno campo, per quale si stabilisce che «la medesima specie, al termine del ciclo colturale, è coltivata sulla stessa superficie solo dopo l’avvicendarsi di almeno due cicli di colture principali di specie differenti, uno dei quali destinato a leguminosa, coltura da sovescio o maggese». Nel caso di maggese è richiesta una permanenza sul terreno non inferiore a 6 mesi. In caso di colture in ambiente protetto si applica quanto previsto dall’Allegato II, Parte I, punto 1.9.2 lettera b) del Regolamento.
La regola generale sulla rotazione del comma 2 incontra alcune deroghe indicate al comma 3. Vi si stabilisce che in deroga a quanto riportato al comma 2 regole speciale valgono per il cereale autunno-vernino, il riso, gli ortaggi a foglia a ciclo breve, le colture da taglio.
In tutti i casi di cui ai commi 2 e 3, la coltura da sovescio è considerata coltura principale quando prevede la coltivazione di una leguminosa, in purezza o in miscuglio, che permane sul terreno fino alla fase fenologica di inizio fioritura prima di essere sovesciata, e comunque occorre garantire un periodo minimo di 90 giorni tra la semina della coltura da sovescio e la semina della coltura principale successiva.
Tra le diverse norme tecniche contenute nel decreto si segnala il comma 8 che delinea l’elenco esaustivo delle registrazioni che attestano la necessità di utilizzare i prodotti per la protezione dei vegetali, ai sensi dell’Allegato II, Parte I, punto 1.10.2 del Regolamento, sono rappresentate da:
a) relazione tecnico agronomica;
b) relazione fitopatologica;
c) bollettini metereologici e fitosanitari;
d) modelli fitopatologici previsionali;
e) registrazione delle catture su trappole entomologiche
Su questo punto viene meno la possibilità di ricondurre come giustificativo per l’utilizzo di mezzi tecnici per la difesa (Allegato II, Parte I, punto 1.10.2 del Regolamento), la dichiarazione prevista dalla normativa comunitaria dall’art. 39 del Regolamento (Art. 63, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 889/08 ex art. 2 DM 18654/2018).
Quanto previsto sembra determinare quindi la produzione di un elaborato a profilo tecnico distinto da quanto previsto dal sistema di gestione elle misure definite “precauzionali” richieste dalla norma comunitaria.
Per quanto attiene l’art. 5 (Produzione animale), non si segnalano momenti di innovazione particolare se non la conferma di quanto già espresso nella precedente disposizione normativa fatto salvo alcuni dettagli circa:
- L’identificazione delle razze da privilegiare in apicoltura (Apis mellifera ligustica, Apis mellifera sicula, limitatamente alla Sicilia e, limitatamente alle zone di confine, le razze Apis mellifera carnica e Apis mellifera nigra;
- Perimetrando il concetto di estensione significativa aziendale per la quale risulta concedibile un rinnovo del patrimonio zootecnico fino ad un 40%. Il punto prevede un ampliamento dell’azienda tale da consentire un incremento del capitale animale adulto in produzione almeno pari al 20% per bovini adulti e al 30% per le altre categorie. Inoltre il requisito non può essere soddisfatto mediante accordi di cooperazione tra agricoltori (comma 3);
- Che si riconoscono, ai fini di evidenze e tenuta di registrazioni le ordinarie registrazioni aziendali nel rispetto dalla vigente normativa nazionale;
- Ribadita la necessità di parere obbligatorio e vincolante di un medico veterinario dell’Autorità sanitaria competente per territorio in caso interventi di amputazione. Tale parere è reso al singolo allevamento, al permanere delle condizioni che l’hanno determinato, al fine di migliorare la salute, il benessere o l’igiene degli animali o nei casi in cui sia necessaria per garantire la sicurezza dei lavoratori.
Andando infine all’art. 6 (Produzione di alghe e animali da acquacoltura), la norma puntualizza alcuni elementi a garanzia della separazione tra attività condotte contestualmente con metodo convenzionale e biologico. Deroga concessa in ambito comunitario e funzionale allo sviluppo di un settore di ultima introduzione nel sistema di produzione con metodo biologico (Art. 9 comma 7 del Regolamento). Nel caso in cui, le condizioni di adeguata separazione non fossero praticabili, tra le unità di produzione biologica e non biologica, dovrà essere rispettata
- una distanza minima di 1.000 metri tra il punto di prelievo idrico dell’unità biologica e il punto di scarico dell’unità non biologica nel caso di impianti a terra e di un miglio marino tra le unità nel caso di ambiente marino, fatte salve eventuali norme più restrittive emanate dalle Regioni territorialmente competenti sulla base di criteri oggettivi e non discriminanti,
- mel caso della molluschicoltura, una distanza minima tra unità biologiche e non biologiche di 150 metri.
I rimanenti punti previsti dall’art 6 specificano aspetti di natura documentale legata alle necessarie evidenze di conformità del processo, con particolare riferimento al Piano di Gestione sostenibile, la Valutazione Ambientale ed il dettaglio dei contenuti di questi due specifici documenti di sistema.
Disposizioni transitorie e finali (art. 14)
Degno di nota è questo articolo in quanto interviene su un punto che ha generato una certa difficoltà tra gli operatori biologici interessati dalla produzione di molluschi.
Di fatto la norma comunitaria ridefinisce per gli allevamenti biologici di molluschi, le aree ritenute compatibili con tale metodo di produzione. La disposizione definita dal Reg. 2018/848, prevede che gli allevamenti di molluschi possano essere effettuati solo in aree di tipo “A” (come configurate dal Regolamento (UE) 2017/625). L’opzione, di fatto, esclude tutti gli allevamenti che ricadono nelle zone di Tipo “B”, condizione ammessa dal Reg. 834/07.
Nelle zone di produzione di tipo A è consentita la raccolta e l’utilizzo per il consumo umano diretto dei molluschi bivalvi mentre, in zone di produzione di tipo B è consentita la raccolta e l’utilizzo per il consumo umano dei molluschi bivalvi soltanto dopo che gli stessi abbiano subito un trattamento in un centro di depurazione. Il trattamento di depurazione ha lo scopo di garantire una carica microbiologica compatibile con la sicurezza dell’alimento.
Attualmente, la maggior parte degli allevamenti di molluschi che interessano le vongole, ricadono in aree di tipo B. E la situazione vale anche per le aziende che hanno aderito al metodo di produzione biologiche. Il mantenimento della restrizione prevista dal Reg. 2018/848 andrebbe a determinare, di fatto, l’esclusione dal sistema di tutte le aziende di allevamento di molluschi interessati dalle vongole (Venericoltura) e di parte di quelli interessati dalle cozze.
L’esclusione però aveva determinato diverse perplessità tra gli operatori aderenti. L’art. 14 del decreto stabilisce che, nelle more della definizione di una norma nazionale volta a definire i criteri per determinare se le zone di sviluppo dei molluschi bivalvi allevati con metodo biologico sono di qualità equivalente a quella delle zone di produzione classificate come di classe A (ai sensi del regolamento (UE) 2019/627), gli allevamenti di molluschi bivalvi che hanno notificato la loro attività entro il 31 dicembre 2021, e che sono risultati conformi al regolamento (CE) 834/2007, qualora ricadano in aree di produzione classificate come di classe B ai sensi della normativa vigente, possono essere ritenuti conformi al regolamento (UE) 2018/848 in relazione al requisito della qualità delle acque.
E’ previsto che entro 3 mesi dall’entrata in vigore del decreto il Mipaaf adotterà disposizioni volte a stabilire la certificabilità delle produzioni degli allevamenti in questione.
Il punto consente pertanto agli operatori già inseriti nel sistema da non ritrovarsi esclusi a seguito di una scelta normativa che avrebbe penalizzato chi si era già inserito nel sistema a fronte di un determinato insieme di requisiti.