Con la sentenza emessa il 7 giugno 2018 la Corte di Giustizia UE ha analizzato ancora una volta il controverso concetto della «evocazione» di indicazioni geografiche registrate. La pronuncia precisa i contorni delle diverse disposizioni di protezione delle indicazioni geografiche (uso indiretto, evocazione, confondibilità) nell’ottica del contemperamento – difficile – tra le esigenze di tutela dei produttori e quelle del consumatore europeo.
In estrema sintesi, la lunga e complessa decisione sembra porre una definizione degli elementi costitutivi della evocazione vietata dal diritto alimentare europeo: secondo la Corte, infatti, spetta al giudice nazionale verificare se un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, abbia direttamente in mente l’indicazione geografica registrata (ossia «Scotch Whisky»), quando si trova in presenza di un prodotto simile recante la denominazione controversa (nella fattispecie «Glen»); a tal fine potrà tenere conto della:
- a) similarità (se presente) fonetica e/o visiva, dell’elemento controverso con l’indicazione geografica protetta;
- b) incorporazione anche parziale della stessa indicazione in detta denominazione;
- c) somiglianza concettuale tra tale elemento e la denominazione protetta.
I fatti di causa
La sentenza in questione (causa C-44/17, Scotch Whisky Association vs. Michael Klotz) prendeva le mosse dalla controversia insorta fra la Scotch Whisky Association ed il Sig. Michael Klotz, distributore online di un whisky prodotto in Germania e denominato “Glen Buchenbach”.
La Scotch Whisky Association -organizzazione di diritto scozzese con lo scopo di garantire la protezione del commercio di Whisky scozzese- agiva dinanzi al Tribunale del Land di Amburgo contro il distributore, per inibire la commercializzazione del prodotto whisky denominato “Glen Buchenbach” sulla base della asserita violazione dei diritti riconosciuti alla indicazione geografica Scotch whisky ai sensi dell’art. 16 (a), (b) e (c) del Reg. CE n. 110/2008 relativo alla definizione, designazione, presentazione, etichettatura e protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose registrate.
Secondo la Scotch Whisky Association, nel caso di specie, la denominazione «Glen» -termine altamente utilizzato in Scozia al posto del termine «valley», sarebbe idoneo a suscitare nella mente del pubblico un’associazione del prodotto tedesco con la Scozia e lo Scotch Whisky e ciò nonostante la presenza in etichetta di altre indicazioni sull’origine tedesca del prodotto, ovvero «Deutsches Erzeugnis» (prodotto tedesco) e «Hergestellt in den Berglen» (prodotto nel Berglen)».
Il Tribunale del Land di Amburgo sospendeva il procedimento, sottoponendo alcune (tre) questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia relative all’interpretazione delle disposizioni di cui all’art. 16 (a), (b) e (c) del Reg. CE n. 110/2008.
Le questioni sottoposte e la decisione della Corte UE
L’art. 16, lett. a) del Regolamento protegge le indicazioni geografiche registrate da «qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili alla bevanda spiritosa registrata con tale indicazione geografica, o nella misura in cui l’uso di tale indicazione consenta di sfruttare indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica registrata».
Il giudice europeo, nel rispondere al primo quesito, afferma la necessità di interpretare restrittivamente la norma, per ragioni eminentemente sistematiche, e affermando così che una qualsivoglia associazione di idee con l’indicazione protetta non è sufficiente ai fini dell’ illecito.
Con secondo quesito, la Corte ha dovuto confrontarsi con il difficile concetto di evocazione. Infatti l’articolo 16, lettera b) del Reg. 110/2008 protegge le indicazioni geografiche da qualsiasi «evocazione», «anche se la vera origine del prodotto è indicata o se l’indicazione geografica è usata in forma tradotta o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “stile”, “marca”, “gusto” o altri termini simili».
In questa definizione si possono ricomprendere una serie di pratiche commerciali capaci di suscitare o suggerire nel consumatore l’idea, o il ricordo, che quel prodotto (diciamo, simil-generico) abbia le stesse caratteristiche e qualità del prodotto a denominazione protetta (DOP) o a indicazione geografica (IGP) registrata, o che sia esso stesso un prodotto a DOP/IGP registrata.
In estrema sintesi la «evocazione» sussiste anche in mancanza di un rischio di confusione tra prodotti a marchio DOP/IGP e generici (v. sentenze Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, causa C- 87/97; e Commissione/Germania, causa C-132/05) in quanto ciò che conta è che si crei nel pubblico un’associazione di idee che rimanda alla indicazione geografica protetta, la cui reputazione è slealmente (unfair) sfruttata (in tal senso, sentenza Bureau National Interprofessionnel du Cognac, cause riunite C-4/10 e C-27/10).
Nel dare risposta al secondo quesito il giudice europeo ribadisce che il criterio determinante in punto di evocazione è accertare (nel giudizio principale) se il consumatore medio europeo, in presenza della denominazione controversa, sia indotto ad avere direttamente in mente come immagine di riferimento la merce contraddistinta dalla indicazione geografica registrata. Tenendo conto, se del caso, della incorporazione parziale di una indicazione geografica protetta nella denominazione controversa (vedi sentenza Verlados, caso “Viiniverla”, causa C‑75/15 ); di una similarità fonetica e/o visiva di tale denominazione con tale indicazione; o ancora di una somiglianza concettuale tra detta denominazione e detta indicazione.
La Corte, inoltre, nel sottolineare che spetta al Giudice nazionale determinare la sussistenza degli indici rilevatori della evocazione illecita, rigetta la proposta lettura del giudice remittente (Tribunale di Amburgo) secondo cui «una qualsivoglia associazione con l’indicazione geografica protetta o con la relativa zona geografica» potrebbe integrare il divieto.
La Corte rileva infatti che è necessario un nesso sufficientemente diretto ed univoco tra l’elemento controverso e la indicazione registrata. Ciò si impone, dice la Corte, per evitare che interpretazioni troppo ampie e vaghe dilatino in modo inappropriato l’ambito di applicazione del Regolamento 110/2008 e riducendo quella certezza del diritto che è essenziale per tutti gli operatori economici.
Infine, la terza questione è relativa alla interpretazione dell’articolo 16, lettera c) Reg. 110/2008. La Corte sancisce che per accertare la presenza di una «indicazione falsa o ingannevole» vietata si debba tenere conto del contesto nel quale l’elemento controverso è utilizzato, in particolare quando quest’ultimo sia accompagnato da un’indicazione relativa alla vera origine del prodotto interessato.