Recentemente, il commissario Andriukaitis, in risposta congiunta a tre interrogazioni parlamentari, ha dichiarato che la Commissione Europea non intende proporre un ulteriore armonizzazione a livello europeo sull’uso nell’etichetta dei termini «naturale», «tradizionale» o «artigianale», né una nuova legislazione specifica per l’etichettatura di bevande a base di frutta.
In una interrogazione, in particolare, si fa leva sulla mancanza di norme europee puntuali e precise relative alle modalità di utilizzo di alcuni termini o immagini da cui deriverebbe la diffusione di etichette ingannevoli soprattutto in riferimento a prodotti industriali etichettati come «tradizionali», «artigianali», o «naturali»; alimenti e bevande con fotografie di frutti sulla confezione ma contenenti minime quantità di frutta, abbinata ad aromi e mescolata ad altri ingredienti meno salutari; e a prodotti integrali rispetto ai quali non sono fissati livelli minimi di cereali integrali che valgano in tutta Europa.
Nella sua risposta, la Commissione ribadisce che ai sensi del Regolamento (UE) n. 1169/2011 le informazioni sugli alimenti non debbano indurre in errore e che, laddove nell’etichetta si evidenzi con parole, immagini o una rappresentazione grafica, un ingrediente o una categoria di ingredienti, sia necessario indicarne la quantità. Più precisamente, nell’ipotesi in cui si tratti di succhi di frutta, la Direttiva 2001/112/CE del Consiglio dispone che debbano essere ottenuti esclusivamente da frutta e che la denominazione di vendita debba coincidere con l’indicazione della frutta utilizzata. Infine che ad integrare la legislazione specifica di settore, a tutela del consumatore, oltre al Regolamento (UE) n. 1169/2011, vi sia la Direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali scorrette.
Si ribadisce, in altri termini, che la garanzia di una informazione leale possa essere perseguita attraverso una più robusta attuazione delle norme generali mediante una attività di sorveglianza e vigilanza del mercato da parte delle autorità competenti.
Le norme vigenti relative alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e alle pratiche commerciali sleali fra imprese e consumatori sarebbero sufficienti a garantire che il consumatore sia adeguatamente informato circa la quantità di un ingrediente e a proteggerlo dall’inganno. Nulla si dice in risposta alla richiesta di fissare livelli minimi di cereali integrali quando si utilizza il termine “integrale” nell’etichetta.
Ad ogni modo, si ricorda che siano gli Stati membri ad essere responsabili del rispetto della normativa ad oggetto, per tanto la valutazione della potenziale ingannevolezza dell’etichetta, almeno in un primo momento è rimessa ad una verifica, caso per caso, a livello nazionale.
A tal riguardo, nell’ambito dell’adozione del Regolamento (UE) n. 1169/2011, molti Stati membri hanno ritenuto che l’utilizzo di termini come «naturale», «tradizionale» o «artigianale», essendo questi strettamente legati alla cultura e ai costumi nazionali, debba essere valutato a livello locale attraverso la giurisprudenza nazionale o un orientamento fissato a livello nazionale.