Il TAR LAZIO, con una serie di sentenze pronunciate nel settembre di quest’anno, ha confermato la natura di ente pubblico non economico degli ordini professionali, ai fini della applicazione del D. lgs. n. 33/2013.
Le sentenze originano da una serie di ricorsi da parte di numerosi ordini professionali, in primis il Consiglio Nazionale Forense (CNF) e numerosi consigli degli ordini degli avvocati, contro l’Autorità Nazionale Anticorruzione che aveva propugnato l’estensione dell’applicazione delle disposizioni di prevenzione della corruzione (l. n.190/2012) anche agli ordini e collegi professionali affermata dall’ANAC.
Infatti con delibera n. 145 del 21 ottobre 2014 “parere dell’Autorità sull’applicazione della l. n. 190/2012 e dei decreti delegati agli ordini e ai collegi professionali”, l’ANAC riteneva che, in quanto enti pubblici non economici, ordini e collegi sarebbero stati tenuti a predisporre i piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza e il codice di comportamento del dipendente pubblico, oltre che nominare il Responsabile, ad attenersi all’adempimento degli obblighi in materia di trasparenza e al rispetto dei divieti in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi dicui rispettivamente ai d.lgs n. 33 e 39 del 2013.
La delibera di ANAC derivava da una precisa richiesta di chiarimenti da parte del Comitato Unitario Permanente degli ordini e Collegi professionali: richiamando alcune norme fondamentali in materia, quali l’art.1, comma 59 della L. 190/2012 che stabilisce che le norme sulla prevenzione della corruzione si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche (come elencate nell’art. 1 comma 2 del D.Lgs165/2001, nonché l’art. 3, comma 1 del d.P.R. 68/1968 che prevede che il personale degli ordini e dei collegi professionali rientra nel comparto del personale degli enti pubblici non economici, qualificando dunque gli ordini professionali nella categoria degli enti pubblici non economici, ha ritenuto applicabile le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui alla l. n. 190/2012 e decreti delegati agli ordini e ai collegi professionali.
La diversità di orientamenti sulla qualificazione pubblicistica degli ordini professionali sorge dalla mancanza nell’ordinamento positivo di una definizione univoca di pubblica amministrazione. La nozione più ampia è certamente quella data dall’art. 1 c. 2 del D. Lgs. 165/2001, sebbene non da tutti ritenuta esaustiva. Non a caso il problema dell’individuazione della natura pubblica di un ente non è nuova nella riflessione giuridica. Difatti, nonostante vi sia la necessità di una qualificazione normativa della pubblicità di un ente (cfr. art. 4 L. 70/1975 sul parastato, secondo il quale “nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”), vi sono a tutt’oggi numerosi enti carenti di legge istitutiva, o comunque non qualificati dalla legge come enti pubblici, tanto che non appare più sufficiente neppure la qualificazione normativa.
Come rilevato in una recente sentenza del Consiglio di Stato (sex. VI, 26 maggio 2015 n. 2660) “nel corso degli anni, la nozione di ente pubblico si è progressivamente “frantumata” e “relativizzata” … la nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può, infatti, ritenersi fissa ed immutevole … il perimetro del concetto di ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa” si tratta dunque di una nozione “funzionale e cangiante”.
Conseguentemente, al di là degli indici esteriori elaborati negli anni dalla giurisprudenza per individuare la pubblicità di un ente e – per inciso – non sempre idonei a definirne la natura, l’unico elemento dirimente continua a essere la rilevanza pubblicistica dell’interesse perseguito dall’ente.
Tornando al contenzioso relativo alla applicabilità delle nuove norme sulla trasparenza amministrativa ed integrità agli ordini e collegi professionali, il Tar del Lazio ha senza mezzi termini tagliato il problema alla radice rilevando che con riferimento al CNF a gli ordini forensi, è la stessa legge a qualificarli espressamente “enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e dalle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell’utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale” (art. 24 L. 247/2012, recante nuova disciplina dell’ordinamento e della professione forense). In questo caso, infatti, è la stessa legge ad individuare la pubblicità dell’ente, nonché l’interesse pubblico affidato alla cura dell’ente stesso, senza la necessità per l’interprete di dover indagare ulteriormente la nozione funzionale di ente pubblico invalsa in giurisprudenza “per cui il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato ed alla ratio ad esso sottesa” (TAR Lazio sez. III, 24 settembre 2015, n. 11391 e n. 11392, cfr. anche sentenza 24 settembre 2015 n. 11430, resa sul ricorso promosso dal collegio nazionale agrotecnici e agrotecnici laureati).
Conclusivamente, quindi, nel caso degli ordini professionali, almeno per il momento, si può fondatamente ritenere che la natura pubblicistica, nonostante le peculiarità della struttura associativa e del finanziamento tutto a carico degli appartenenti all’ente stesso, è la stessa legge istitutiva dei singoli ordini a qualificarli enti pubblici economici – seppur a struttura associativa – individuando il precipuo interesse di rilevanza collettiva affidato.
Le sentenza del TAR Lazio, chiudendo il contenzioso sulla applicazione delle norme su trasparenza ed integrità, impongono quindi agli ordini e collegi professionali uno sforzo di adeguamento a quegli standard di trasparenza e gestione che il Legislatore ha posto.
09/11/2015
avv.ti Ida Di Crosta e Daniele Pisanello