Nel mese di marzo il Ministero dello Sviluppo Economico ha diramato una nota di precisazione sul regime sanzionatorio legato alle violazioni del Regolamento (UE) n. 1169/2011. Il ritardo nell’adozione di un nuovo “decreto sanzioni” e la possibilità non remota dell’infruttuosa decorrenza dei termini della delega al governo (scadenza a giugno 2015) hanno evidentemente imposto l’esigenza di un chiarimento ufficiale, sebbene nella forma giuridicamente non vincolante di una “nota”.
Cosa afferma la nota del 6 marzo
Il MiSE ha ricordato che “le disposizioni sanzionatorie previste dall’articolo 18 del D.Lgs. 109/1992 per la violazione delle disposizioni in esso contenute, devono intendersi applicabili soltanto ai precetti confermati dal regolamento. Le sanzioni previste dall’articolo 18 del decreto legislativo restano inoltre applicabili alle violazioni delle disposizioni del decreto medesimo che restano in vigore, in quanto riguardanti materie non espressamente armonizzate dal Regolamento, quali, ad esempio, il lotto o i prodotti non preconfezionati”.
La posizione del Ministero è in piena continuità con quella che è considerata la linea assolutamente pacifica in fatto di successione nel tempo di regolamenti comunitari rispetto ai quali il legislatore nazionale abbia previsto sanzioni amministrative. La stessa Corte di cassazione con sentenza dei primi anni 2000 ha affermato che, in tema di sanzioni amministrative per violazione di regolamenti comunitari, laddove vi sia stata successione di regolamenti comunitari che, però, abbia “sostanzialmente mantenuto” il precedente regime (cioè gli obblighi sostanziali sono rimasti identici), la sanzione prevista dalla normativa nazionale ben può essere applicata anche se riferita formalmente al precedente regolamento comunitario, senza che ciò violi il principio di legalità di cui all’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, atteso che, nella specie, il precetto non è mutato.
La nota è, poi, accompagnata da una tabella di concordanza, questa sì, non pienamente condivisibile.
L’inestinguibile fascinazione per l’arzigogolo
Se, quindi, il punto di diritto sembra essere assodato, cionondimeno è circolata sul web una suggestiva tesi secondo la quale, in assenza di un nuovo “decreto sanzioni”, cioè di un decreto recante sanzioni amministrative specifiche per le violazioni al regolamento n. 1169/2011/UE, le pene previste dall’art. 18 del D. Lgs. n. 109/1992 non potrebbero trovare applicazione.
L’argomento principale a sostegno di questa affermazione sarebbe da ricercare nel principio di legalità (art. 25 cost.) in combinato con il principio, tipico della legge penale, del divieto di analogia in malam partem (cioè del divieto d’interpretazione analogica della legge penale laddove gli effetti di tale interpretazione siano sfavorevoli al soggetto incriminato).
È certamente vero che il divieto di analogia riveste un ruolo importante nell’ambito delle sanzioni penali e anche amministrative, stante l’orientamento interpretativo maturato sul secondo comma dell’art. 1 della L. n. 689/1981. Il punto è, tuttavia, un altro.
Volendo restare sul piano tecnico-giuridico, nel caso che ci occupa non si tratta e non si può trattare di “interpretazione analogica” perchè tale espressione ha un contenuto e un campo di applicazione proprio e ben preciso. Non si può trascurare che l’art. 12, co. 2°, delle Disposizioni preliminari al Codice Civile, afferma che “[s]e una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato“. Ne deriva, secondo l’insegnamento assolutamente prevalente, la distinzione tra
- analogia legis: ove il caso è disciplinato ricorrendo ad un’altra norma che regola un caso simile;
- analogia iuris: si ricorre quando non si riesca a trovare una norma simile per disciplinare il caso pratico che viene regolato ricorrendo ai principi generali dell’ordinamento giuridico.
Orbene, parlare di “analogia” presuppone l’inesistenza di una norma e quindi, in altri termini, presupporre che il Decreto legislativo n. 109/1992 sia abrogato. Anche questa ultima affermazione non corrisponde alla realtà giuridica, in quanto, come ci ricorda la Corte costituzionale, un regolamento comunitario, in quanto appartenente a un ordinamento distinto da quello italiano, non può abrogare un atto avente forza di legge nell’ordinamento nazionale. Le disposizioni del decreto legislativo sono dunque in vigore e ciò esclude in radice la pertinenza del ricorso all’argomento della analogia.
Il tema è, più propriamente, se e quali sanzioni ivi previste possano o non possano essere applicate alle violazioni della disciplina applicabili. Sanzioni che, per vincolo dei trattati, devono essere predisposte e applicate dall’ordinamento dello stato membro.
Posta nella corretta prospettiva, la domanda da porsi è: quali disposizioni del decreto legislativo n. 109/1992 sono ancora applicabili? Per rispondere a questa domanda si deve confrontare il testo nazionale con il regolamento comunitario.
Se il requisito del Reg. (UE) n. 1169/2011 trova piena corrispondenza in un requisito del decreto legislativo n. 109/1992, la violazione del primo ben potrà essere sanzionata sulla base della corrispondente norma dell’art. 18 D. Lgs. n. 109/92.
Al contrario, se il requisito del regolamento è nuovo o comunque non corrispondente a una disposizione del decreto n. 109, è chiaro che l’eventuale contestazione di una sanzione amministrativa sarebbe illegittima e come tale annullabile a seguito di ricorso. Questo potrebbe essere questo il caso della applicazione di una sanzione amministrativa prevista dall’art. 18 D. Lgs. n. 109/92 alla violazione dei requisiti sui font minimi da utilizzarsi per le informazioni obbligatorie; o ancora per la violazione dei requisiti di evidenziatura degli allergeni.
Più in generale questa sembra essere la situazione di tutti i nuovi requisiti d’informazione previsti dal regolamento n. 1169 a carico della ristorazione collettiva: ferme restando le responsabilità civili e penali, le sanzioni del decreto legislativo n. 109/1992 non dovrebbero essere applicate a queste attività, in ragione dei predetti principi di legalità e tassatività.
Ciò posto deve sempre ricordarsi che la violazione di norme di legislazione alimentare non comporta solo il rischio di una contestazione sanzionatoria. A stretto rigore, infatti, innanzi a una non conformità alla legislazione alimentare, l’autorità di controllo (art. 2, D. Lgs. n. 193/2007) avrebbe anche potere di disporne la correzione, utilizzando a tal fine una altra norma ben più fondamentale delle sanzioni: l’art. 54 del Reg. (CE) n. 882/2004. Non si avrebbe in tal caso una “sanzione” ma un provvedimento amministrativo che dispone, a seconda dei casi, limitazioni, revoche, interventi straordinari, chiusure di locali etc.