Atteso da oltre tre anni, il decreto legislativo n. 231 del 15 dicembre 2017, recante la disciplina sanzionatoria in tema di informazione sui prodotti alimentari, è stato pubblicato l’8 febbraio 2018. Le nuove norme ridefiniscono, da un lato, il quadro sanzionatorio per le violazioni al regolamento generale in tema di food information (Reg. (UE) n. 1169/2011) e, dall’altro, ridisegnano le regole nazionali nelle materie non armonizzate, sostanzialmente relative agli alimenti non preimballati, agli alimenti somministrati dalle collettività (ristorazione collettiva), la gastronomia e take-away della GDO, i semi-trasformati. Il decreto entrerà in vigore il 9 maggio 2018, con una clausola di smaltimento scorte aperta (senza un termine finale).
Confrontato con il precedente decreto (d.lgs. 109/1992), il decreto legislativo n. 231/2017 evidenzia un tendenziale inasprimento formale delle pene edittali accompagnato, però, da meccanismi compensativi e premiali che si risolvono, a ben guardare, in una generale riduzione del carico afflittivo.
In primo luogo, a tutte le violazioni disciplinate dal decreto sarà applicabile un abbattimento del 30% della sanzione amministrativa, già determinata in misura ridotta (ai sensi dell’articolo 16 della l. n. 689/1981) ove il pagamento sia effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione. Così, ad esempio, nel caso di etichettatura ritenuta ingannevole, col vecchio decreto, il pagamento in misura ridotta consisteva in € 6.000, stessa somma con il nuovo decreto che, però, consente oggi l’ulteriore riduzione a € 4.800 (-30%) se pagati entro 5 giorni e quindi senza ricorrere o presentare scritti difensivi. Altre volte il vantaggio può essere meno rilevate o assente: è il caso della mancata indicazione del TMC, ipotesi sanzionabile in base al vecchio decreto con la somma di € 1.200 (doppio del minimo), e ora, col decreto n. 231/2017, con € 2.000, riducibili a 1.400 se il pagamento è effettuato entro 5 giorni.
In secondo luogo, si deve accennare alla applicazione a queste violazioni del meccanismo della diffida, già previsto dal decreto Campolibero (decreto-legge n. 91/2014) per le violazioni «agroalimentari», oggetto oscuro rimasto invischiato nelle diatribe interpretative tra MIPAAF e il Ministero della Salute. Ciò che qui conta è che, per le violazioni regolate dal d.lgs. n. 231/2017, l’Ispettorato Repressioni Frodi (organo competente alla irrogazione delle sanzioni), ove accerti «per la prima volta l’esistenza di violazioni sanabili», dovrà prima adottare delle prescrizioni di correzione e diffidare l’interessato ad adempiervi entro il termine (inderogabile) di venti giorni; solo in caso di mancata ottemperanza da parte dell’operatore diffidato quest’ultimo potrà essere passibile della irrogazione della pena pecuniaria determinata dall’autorità competenza e senza il beneficio del pagamento in misura ridotta.
Il legislatore ha profuso ulteriori sforzi al fine di favorire comportamenti virtuosi di ravvedimento operoso: è il caso della disposizione relativa ad alimenti etichettati senza la completa o corretta indicazioni degli allergeni e pertanto «a rischio» ai sensi del regolamento n. 178/2002: tema rilevante sia per il consumatore ma anche per l’impresa, costretta a gestire situazioni di crisi spesso molto complesse. Secondo il decreto, l’avvio tempestivo di procedure di ritiro può valere a elidere l’applicazione della sanzione amministrativa da 5.000 a 40.000 euro per la mancata indicazione di un allergene. Si contenga però l’entusiasmo; vi sono infatti alcuni limiti congeniti, uno dei quali è la clausola di cedevolezza penale; se il fatto è previsto come reato, la regola premiale non si applica e, ben si sa come, a legislazione penale invariata (e salvo non imminenti sviluppi del progetto Caselli in materia di reati alimentari), nel caso di allergeni non dichiarati la contestazione penale ex lege n. 283/1962 se non anche un delitto sanitario del codice penale è tecnicamente configurabile.
Il decreto non ha accolto l’invito a richiamare espressamente la disciplina della recente legge n. 166 del 2016 che – all’art. 3, comma 4 – già prevede che «gli alimenti che presentano irregolarità di etichettatura che non siano riconducibili alle informazioni relative alla data di scadenza o alle sostanze o prodotti che provocano allergie e intolleranze, possono essere ceduti ai soggetti donatari»; la cessione disciplinata dal legislatore è a titolo gratuito, è relativa a eccedenze ed è finalizzata all’eliminazione degli sprechi alimentari.
Il decreto nazionale fornisce un tentativo di definizione dei rapporti tra il produttore apparente (pensiamo al private label) e il produttore reale, stabilendo che la sostituzione del nome e indirizzo del produttore in luogo dell’operatore nel cui nome/marchio il prodotto è commercializzato è sanzionabile con pena da 3.000 a 24.000 euro.
Alla luce di questa prima valutazione è evidente che questo decreto si segnala più che per le singole sanzioni per l’impatto generale e di sistema nella dinamica della gestione della conformità.